Prof. Notarangelo

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da Brescia Medica: PREMIO AL MERITO 2010.

Intervento del Professor Giuseppe Romanelli.

Buongiorno a tutti, cari colleghi e buongiorno a te caro prof. Luigi Notarangelo; avendo acceso ora il microfono, anche se sei lontano, volando da San Francisco a Boston, ci sei vicino con il pensiero e forse riesci a sentirci. “La durata della vita fa parte delle cose che non ci appartengono, ma dipende da noi vivere con pienezza tutto il tempo che ci viene assegnato”. Queste parole dette da Seneca,anzi scritte da Seneca a Lucilio, devono far riflettere tutti noi medici, penso in modo particolare i colleghi pediatri, che affrontano fin dall’inizio il magnifico e misterioso percorso della vita umana. Tra loro l’amico e collega Luigi Notarangelo, che è certamente un faro e un punto di riferimento è un giovane talento. La foto che adesso viene mostrata certamente non gli da merito perché è molto più giovane di quello in questa immagine mostra. E’ sposato, ha tre figli, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pavia dove ha conseguito le Specializzazioni in Pediatria, Allergologia e Citogenetica Umana. Le vicende della vita vogliono che il suo primo Maestro, il professor Burgio, fosse anche il mio pediatra quando agli inizi degli anni sessanta eravamo a Perugia. Nel 1984 si è trasferito presso l’Università di Brescia, ove ha ricoperto i ruoli di Ricercatore Universitario (1986-1994), Professore Associato (1994-1996) Professore Ordinario di Pediatria (1996-2006). Direttore della Clinica Pediatrica dell’Università di Brescia dal 2000 al 2006 e del Dipartimento Pediatrico degli Spedali Civili di Brescia dal 2002 al 2006, il Prof. Notarangelo è stato chiamato presso la Harvard Medical School di Boston in qualità di Professor of Pediatrics and Pathology nel 2006 e ricopre tuttora questo ruolo. E’ Jeffrey Modell Chair for Pediatric Immunology Research presso il Children’s Hospital di Boston ed è uno degli Investigators del Manton Center for Orphan Disease Research presso la medesima istituzione. Ha ricoperto il ruolo di Presidente della European Society for Immunodeficiencies dal 2002 al 2006 ed è co-Direttore del Comitato per le Immunodeficienze della International Union of Immunological Societies. Autore di tre 350 pubblicazioni su riviste internazionali e i suoi studi si dedicano principalmente allo studio delle basi molecolari e cellulari delle immunodeficienze nello sviluppo di nuove forme di terapie per tali malattie. Avete capito che stiamo parlando anche se di un giovane collega di un illustre scienziato, di una persona famosa e nota in tutto il mondo. Quindi che altro potrei aggiungere? Vista la sua non presenza e la impossibilità quindi di commentare, ho pensato che potevo prendere alcune parole, anche se non ho avuto modo di averne il suo permesso, dalla sua prolusione che tenne all’inizio dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2002-2003 che sicuramente ci faranno comprendere quanto non solo sia grande come scienziato, ma anche come sia grande come medico, come uomo medico. Disse in quella occasione: “Si è detto anche che il medico dovrebbe adottare uno stile di comunicazione che possa lasciare ogni decisione finale ai genitori, vigilando tuttavia che tale decisione sia rispettosa dei diritti inalienabili del bambino. Ma questo atteggiamento non deve ridursi a una neutralità assoluta, quasi che le parole del medico possano essere sostituite dall’impersonale pagina di un libro o di un testo consultato in internet, al contrario, ancora una volta anche in questo difficile momento in cui il medico si confronta con difficili domande, domande difficili per le quali non ci sono comunque risposte certe, anche in questo momento così carico di emozioni il medico deve recuperare quelle capacità di parlare coi genitori, a ogni coppia come se fosse unica rispettoso delle emozioni individuali che ogni coppia può avere. Il medico deve ricordare che egli non è solo colui che prescrive un piano di cura, egli determina anche il modo con cui il paziente riceve quella cura. Ciò è vero anche per i bambini più piccoli per i quali l’incapacità a comunicare verbalmente non equivale ad incapacità di interreagire anche e soprattutto sotto il profilo emozionale – e concludeva dicendo – dalla corrispondenza soprattutto emozionale con cui ogni paziente, anche il più piccolo, mostrerà di ricevere l’assistenza che gli viene fornita si capirà se quel medico conosce non solo la dottrina scientifica ma anche l’arte della medicina”. Grazie.

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